Avvocato Domenico Esposito
 

 

 

 

LA RIFERIBILITA’ A UN CONTRIBUENTE DI UN CONTO CORRENTE INTESTATO A UN PARENTE VA PROVATA DAL FISCO, ANCHE MEDIANTE ELEMENTI PRESUNTIVI

 

La possibilità di acquisizione dei dati dei conti correnti può essere estesa anche a quelli intestati a persone contigue al contribuente.

Spetta però al fisco indicare gli elementi concreti, anche presuntivi, quali 

  1. l'assenza di fonti apparenti che giustifichino i versamenti in conto 
  2. la coincidenza tra versamenti o prelevamenti e operazioni di presumibile equivalente valore effettuate dal contribuente
  3. l'abnormità delle movimentazioni di denaro rispetto all'attività del titolare del conto

o altre, indicative del fatto che il conto corrente sia in effetti riferibile al contribuente.

 

Corte di Cassazione, Sentenza 14.11.2008 n.27186

Svolgimento del processo                                                                                                            L'Amministrazione ricorre per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione Tributaria Regionale in epigrafe che, riformando la decisione di primo grado,  ha accolto il ricorso della contribuente avverso un avviso di accertamento per IVA e IRAP anno 1998.

Resiste la contribuente con controricorso.                                   

La causa é stata assegnata alla Camera di consiglio, essendosi ravvisati i presupposti di cui all'art. 375 c.p.c..

La controricorrente ha depositato memoria.                               

Motivi della decisione                                                                                                            

Il primo motivo di ricorso con cui si deduce carenza di motivazione in ordine a fatti  controversi e decisivi per il giudizio é innanzitutto ammissibile in quanto, contrariamente  all'assunto della controricorrente, viene censurato l'iter logico della motivazione e non richiesta una diversa valutazione delle prove, né per il motivo de quo é richiesta la proposizione di  alcun quesito di  diritto, come  si evince chiaramente dal disposto dell'art.  366  c.p.c., che lo pretende unicamente "nei casi previsti dall'art. 360  c.p.c., comma 1, nn.  1),  2),  3)  e  4)", e non per quello previsto nel n. 5).

Il motivo é altresì manifestamente fondato dal momento che, a fronte dell'esistenza di una  presunzione ex lege di attribuzione a ricavi dei prelevamenti e dei versamenti sui conti bancari intestati al contribuente desumibile dal  disposto  del  D.P.R.  26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, comma 2, n. 2, secondo la quale i singoli dati ed elementi risultanti dai conti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dal successivo art. 54, se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle dichiarazioni o che non si riferiscono ad operazioni imponibili, e del giudizio dei  primi giudici secondo i quali tale  presunzione non poteva ritenersi vinta dalla documentazione prodotta dalla società, la Commissione tributaria regionale si é limitata a stabilire che dalla medesima risultava che sei operazioni per un ammontare di L. 88.450.000 erano costituite da versamenti di soci per  far fronte all'emissione di  un assegno di  L. 84.500.000 pagato ad una società per l'acquisto  di un terreno, senza spendere una parola per chiarire da dove tale convincimento derivasse, stante, ad  esempio, la non coincidenza degli importi; alla stessa stregua e ancor più  genericamente  si  afferma  che  una "minuziosa elencazione probatoria viene fornita da parte della società in ordine a tutti gli altri movimenti bancari effettuati dalla stessa", senza  fornire, neppure a campione, un elemento a sostegno del convincimento espresso,  così come resta del tutto priva di  giustificazione l'ulteriore affermazione secondo cui altri assegni  emessi rappresentano prelevamenti di soci in corso d'anno per sopperire a non meglio precisate esigenza familiari.

La fondatezza del primo motivo assorbe il secondo.                           

Manifestamente infondato é invece il terzo motivo con il quale si deduce violazione di   legge in relazione al  principio affermato dalla Commissione tributaria regionale secondo il  quale la presunzione di cui sopra può valere solo per i movimenti riscontrati sui conti intestati alla società o su quelli di cui si dimostri la disponibilità.

Nel dettato normativo non é invero rinvenibile una presunzione di riferibilità all'attività  fiscalmente rilevante del contribuente delle movimentazioni di conti allo stesso collegabili solo in virtù del rapporto organico o familiare del titolare degli stessi.

Se é vero, infatti, che la possibilità di  acquisizione dei  dati dei conti correnti può essere estesa anche a quelli intestati a persone che per la loro contiguità al contribuente possono  essere considerate per ciò solo sospette in base a considerazioni desumibili dalla comune esperienza questo non significa che le movimentazioni rilevate possano per ciò solo essere sic et simpliciter imputate al contribuente  in quanto così operando si fa assurgere quella che è una semplice possibilità, sia pure avvalorata dalla concreta osservazione del fenomeno, a  regola di comune esperienza rispondente al canone dell'id quod plerumque accidit, così da  dare per scontata l'esistenza di una situazione sostanziale confliggente con quella formale anche in assenza di una norma che autorizzi espressamente una tale operazione mentre é necessario un ulteriore passaggio consistente nell'accertamento che l'intestazione sia  sostanzialmente fittizia nel senso che il conto corrente esaminato sia in realtà utilizzato dal contribuente stesso.

In  tal  senso  e'  stato  infatti  ritenuto che "Il D.P.R. 26 ottobre 1972, n.  633,  art.  51, comma 2, nn. 2 e 7, accorda all'ufficio il potere di richiedere agli istituti di  credito notizie dei movimenti sui conti bancari intrattenuti dal  contribuente e di presumere la loro inerenza ad operazioni imponibili, ove non si deduca e dimostri che i movimenti medesimi siano stati conteggiati  nella  dichiarazione  annuale o siano ricollegabili ad atti non soggetti a tassazione.

Conti "intrattenuti"  sono  quelli  le  cui  poste  attive e passive siano imputabili al  contribuente.

La  base  logica della norma e' da ravvisarsi in una valutazione  del  legislatore di rilevante probabilità (id quod plerumque accidit) che  il  contribuente utilizzi il rapporto bancario per i pagamenti e gli incassi della propria attività. 

La  lettera e la ratio della disposizione in  esame non ne autorizzano l'applicazione con riguardo a conti bancari intestati esclusivamente a persone diverse, solo perchè legate da vincoli familiari o commerciali, salvo che l'ufficio opponga e poi provi in sede giudiziale,  eventualmente avvalendosi degli indizi ricavabili da tali vincoli, che  l'intestazione a terzi sia fittizia, cioè esprima un'apparenza voluta per far risultare come altrui operazioni in realtà compiute dal contribuente, o comunque sia superata, in relazione alle circostanze del caso concreto, dalla sostanziale imputabilità al  contribuente  medesimo delle posizioni   creditorie e debitorie annotate sui conti" (Cassazione civile, sez.  trib.,  28  giugno  2001,  n.  8826;  cfr. Cass. 2 marzo 1999 n.1728)" e che "...  anche se deve ritenersi che nelle società di persone il vincolo societario che lega i soci alla società é sicuramente più forte rispetto a  quello presente in altri tipi di società', resta pur sempre il fatto che la società di persone ha una sua autonomia patrimoniale, per cui l'utilizzazione dei conti intestati ai soci non può essere ammessa sempre e comunque, ma è possibile a condizione che si superi il dato formale della intestazione e si raggiunga la prova che quei conti sono riconducibili alla società, totalmente o parzialmente. 

Tale  prova,  ovviamente,  incombe sul Fisco che  deve  offrire al giudice utili elementi di valutazione, anche se di carattere presuntivo"  (Cassazione civile, sez. trib., 16 aprile 2003, n.6073; nello stesso senso Cassazione civile, sez. trib., 18 aprile 2003, n. 6232 e Cassazione  civile, sez. trib., 14 novembre 2003, n. 172439), nonchè, infine, che "L'amministrazione, in  sede di rettifica e di accertamento d'ufficio delle  imposte sui redditi di una società di capitali, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, può utilizzare, oltre ai dati risultanti dalle copie dei conti correnti bancari formalmente intestati all'ente, anche  quelli relativi a conti formalmente intestati ai soci, amministratori  o procuratori generali,  allorché  risulti  provata, anche tramite  presunzioni, la natura fittizia dell'intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all'ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati" (Cassazione civile, sez. trib., 12 settembre 2003, n. 13391).

É chiaro allora che l'operatività della presunzione é diversa in quanto la stessa non opera  quale criterio previsto dalla legge per l'attribuibilità ex lege e iuris et de iure al contribuente  delle risultanze dei conti correnti intestati a soggetti che con lo stesso abbiano una qualche   relazione ma come ordinario criterio di valutazione degli elementi di fatto la  cui introduzione nel giudizio spetta a colui su cui fa carico l'onere  probatorio, così che spetta al fisco indicare gli elementi concreti, diversi  dalla  semplice relazione con l'intestatario, che collegano il conto al contribuente, elementi che, questo si, possono essere anche di semplice valenza  presuntiva,  quali  l'assenza di fonti apparenti che giustifichino i versamenti in  conto oppure la coincidenza tra versamenti o prelevamenti e operazioni di presumibile equivalente valore effettuate dal contribuente o anche  l'abnormità delle movimentazioni di denaro rispetto all'attività del titolare del conto.

L'accoglimento del  primo motivo comporta la cassazione dalla decisione impugnata in  relazione alla censura accolta e il rinvio della causa, anche per le spese, ad altra sezione della stessa Commissione tributaria regionale.                                                                               P.Q.M.                                                                                                                    

La Corte  accoglie  il  primo  motivo  di  ricorso,  dichiara assorbito il secondo, rigetta  il  terzo,  cassa  la  sentenza  impugnata  in  relazione al motivo accolto  e  rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Sicilia.